sabato 27 maggio 2006

Disclaimer.....

........ ehm, è evidente che io non abbia il dono della sintesi...


Se qualche anima masochista riesce a leggere tutto il post su Grimilde, mi farebbe una grande cortesia a darmi un parere... si tratta di un mio piccolo esperimento


:-)


A.


Nulla è come sembra. La storia di Grimilde


Grimilde non è nata principessa, nemmeno per sogno.

E non è nemmeno nata austera. Strano a dirsi, non è neppure nata strega. Per lo meno, non di quelle streghe che si chiudono in pulciosi sotterranei a rovistare tra alambicchi e code di rospo.

Viveva in un piccolo regno, lontano lontano, pacifico e prospero.

Suo padre, Artemisio, era mercante di stoffe pregiate, e lei poteva godere di un’agiatezza che a molte ragazze sue coetanee era negata.

 

Sua madre Clotilde era una donna piacente.

Non eccezionalmente bella, non straordinariamente affascinante, ma bella quel tanto che era bastato ai suoi genitori a trovarle un marito discretamente ricco che le offrisse comodità e agi.

Era però purtroppo una donna ambiziosa e fredda. Essa aveva desiderato fin da bambina una vita di sfarzi ed eleganza, si vedeva sposata ad un gran signore nobile e ricco, e la vita della moglie di un mercante mal le si adattava. Aveva la convinzione che la bellezza fosse tutto quello che era necessario ad una donna per procurarsi un marito che soddisfacesse ogni suo desiderio (e lei desiderava gioielli e diademi) ed in questa incrollabile convinzione aveva cresciuto la piccola Grimilde fin dai suoi primi giorni di vita.

 

Grimilde in verità era una bimba timida e gentile.

Le piaceva giocare nel cortile con i cani, andare in cerca di fiori e piante, cantare.

Aveva molti amici, tra i bambini del vicinato, o almeno li aveva avuti fino a quando, a 5 anni, sua madre aveva deciso che era ora di farene una donnina.


Clotilde la riprendeva di continuo, la teneva lunghe ore seduta alla toletta a pettinarsi i lunghi capelli neri, ad ammorbidirle le mani con unguenti e intrugli, la costringeva dentro vestiti dai corpetti così severi e rigidi che a malapena respirava. Compostezza, rigore, silenzio, calcolo, strategia prendevano il posto di carezze baci e affetto nelle lunghe giornate solitarie della piccola Grimilde.


- Tu sei bella, mia piccola principessina – le ripeteva la madre di continuo – e devi sfruttare questa dote nel migliore dei modi possibili. Tu sposerai un principe o un re e avrai tutto quello che io non ho mai avuto.


A Grimilde questo non interessava minimamente, ma a furia di insistere, la madre aveva cominciato ad intaccarene la gentile intelligenza e a farne una cacciatrice di dote.


Un giorno, poteva avere circa 17 anni, Grimilde stava passeggiando ai margini del bosco che circondava da tre lati il piccolo villaggio in cui viveva. Proprio come accade nella migliore tradizione delle fiabe che si rispettino, uno squillo di tromba e un rumore di zoccoli la distrasse dai suoi pensieri. Si fermò e davanti a lei sfilarono lentamente una dozzina di cavalli bianchi, ognuno col suo bravo cavaliere e stendardo, che precedevano una bellissima carrozza.

Grimilde si accostò al ciglio della strada e accennò un lieve inchino.

Dopo breve la carrozza si fermò. Il paggio si affrettò ad aprire la porta, e ne uscì un uomo di mezza età, riccamente vestito, e con una sfolgorante corona in testa.


- Chi sei, ragazza mia? – chiese

- Grimilde, Sire. Sono la figlia del mercante di stoffe.

-Conosco tuo padre, Grimilde. Vorrei parlargli. Vuoi farmi l’onore di accompagnarmi da lui, sulla mia carrozza?



Grimilde non credeva alle proprie orecchie. Si inchinò nuovamente e senza parlare salì sulla carrozza del RE.

Mia madre sarà fiera di me, pensava tornando verso casa. Quando mi vedrà arrivare con la carrozza del Re, non crederà ai propri occhi. Forse mi abbraccerà persino, o mi sorriderà.


Ma nulla di tutto ciò accadde.


Quando arrivarono davanti alla casa del mercante di Stoffe, tutta la servitù si mise in subbuglio.

Sebbene Sua Maestà ripetesse di non agitarsi o non preoccuparsi, tutti sembravano aver perso la testa. Tutti tranne Clotilde, che mantenne una freddezza e una compostezza granitiche.

Il Re fu fatto accomodare nel salotto buono, ci fu un gran andirivieni di servitori per qualche momento.

Poi, silenzio.

Dopo un po’ Clotilde uscì dal salotto e salì in camera di Grimilde e ne scese poco dopo seguita da un servitore che trasportava un enorme baule.

Il baule fu caricato sulla carrozza del Re.

Quando Artemisio uscì dal salotto accompagnando il Re, furono spese solo poche parole per spiegare a Grimilde quello che stava accadendo.


- Sua maestà ha chiesto la tua mano, mia cara - le disse il padre con un sorriso infelice -  Partirai adesso stesso.


Grimilde non credeva alle proprie orecchie, ma l’espressione seria di suo padre la dissuase dal fare commenti. Lo abbracciò salutandolo, e si voltò per salire sulla carrozza.



Clotilde era in piedi davanti la porta di casa, la ragazza fece per avvicinarsi ma lei si scostò. Così Grimilde partì verso il suo destino senza il conforto di un abbraccio di sua madre, che restò li, impalata, a guardarla, con un’espressione arcigna e severa, senza un sorriso e senza una benedizione.


Come se fosse invidiosa.

 

Grimilde non era la prima moglie del Re

Egli aveva sposato anni prima una giovane nobile dei dintorni, che aveva molto amato, e dalla quale aveva avuto una bambina. Disgraziatamente, era morta dandola alla luce, e così la piccola Beatrice era cresciuta senza il bene dell’amore di sua madre, proprio come la sua giovane matrigna. Era una bambina bellissima, con i capelli corvini, le labbra rosse come rose e una carnagione talmente candida che tutti a palazzo dicevano che era bianca come la neve, e avevano dimenticato il suo vero nome.

Aveva cercato di affezionarsi alla sua nuova mamma, ma Grimilde non era in grado di capire come comportarsi con una bimbetta di appena 4 anni in cerca di affetto, e pertanto l’aveva tenuta a distanza.

La piccola era un poco viziata, a voler essere del tutto onesti. Suo padre il Re non le negava niente, e questo a Grimilde dava enormemente sui nervi. Non poteva sopportare di sentirla piangnucolare, ne di vederla nei suoi abiti costosi e sempre nuovi, o cavalcare i molti pony che possedeva, o giocare con le innumerevoli bambole che le venivano continuamente portate in dono.

Non avendoavuto una madre amorevole, non ci si poteva certo aspettare che fosse amorevole con una figlia. Anzi, una figliastra.

 

La vita di Grimilde a palazzo non fu minimamente come se l’era immaginata.

Quando era stata portata via da casa sua all’improvviso con la prospettiva di sposare il Re, si era consolata immaginando grandi feste danzanti, dame riccamente vestite, cavalieri galanti e una vita piena di impegni e di divertimento.

Questo era avvenuto, in effetti, ma era durato soltanto per circa 6 mesi. Il Re aveva molti impegni, non era mai a palazzo, e presto la sua nuova giovane moglie non era stata più al centro dei suoi pensieri. Tutto sommato, l’aveva sposata principalmente per dare una madre a Biancaneve, e i suoi pressanti impegni non gli consentivano di comportarsi da padre premuroso e marito gentile.


Così Grimilde era stata dimenticata nella più sfarzosa ala del castello, circondata da servitori, sete, broccati e prelibati manicaretti, ma disperatamente sola e senza amore. Le sue giornate trascorrevano tra la toletta (la vecchia abitudine di sua madre di farle spazzolare i capelli a lungo non l’aveva mai abbandonata) e la finestra, dalla quale spiava la vita della corte e la piccola Biancaneve, e tutti le sembravano più felici e fortunati di lei.



Il suo cuore si stava definitivamente indurendo. Forse, se avesse potuto avere una figlia sua, le cose sarebbero andate diversamente.

 

Biancaneve era bella, molto bella, forse persino più bella di Grimilde, la quale - memore dei lunghi anni di indottrinamento matreno - non poteva sopportare che qualcuna la superasse in beltà.

Possedeva uno specchio magico che custodiva gelosamente lontano dagli sguardi altrui,  l’unico dono di sua madre; esso le rimandava costantemente l’immagine della più bella del reame, cosa che costituiva il suo unico conforto alla solitudine.



Fino al giorno in cui la magia le disse che Biancaneve sarebbe diventata presto più bella di lei. Questo accadde quando Grimilde era Regina ormai da oltre 10 anni, e Biancaneve si stava affacciando alla vita come una rosa che sboccia.

 

Oh, non posso sopportarlo – pensava Grimilde, che non aveva mai avuto altro che la sua bellezza. – Non posso tollerarlo, quella piccola inutile smorfiosetta. Devo porre rimedio a questo, devo cambiare questa situazione. IO sono la più bella, lo sono sempre stata e lo sarò sempre!

 

Così giorno e notte Grimilde si arrovellava per trovare il modo di liberarsi di questa ingombrante figliastra ormai quindicenne. Non passava giorno che a palazzo non giungessero principi di questo o quel reame, attirati dalla fama della bellezza di Biancaneve, per chiederne la mano. Biancaneve era cortese con tutti, ma non accettava nessuno. E questo diede a Grimilde l’idea giusta. Lei stava cercando il modo di liberarsi di una bambina, ma era la donna che invece avrebbe dovuto colpire. Avrebbe ucciso la bambina e allontanato la donna con un unico ingegnoso colpo.

 

Convocò il suo più fidato guardiacaccia e gli disse: 

- Mio prezioso amico, ho da affidarti un compito molto delicato e molto importante. Stasera dirò a mia figlia che desidero che colga dei fiori selvatici per abbellire la tavola da pranzo. Domani la condurrai nel folto del bosco per coglierli e una volta li…

- … dovrò ucciderla, maestà, e riportartene il cuore in uno scrigno? – chiese il guardiacaccia impaurito dallo sguardo penetrante della regina 

- Ucciderla? Ti ha dato di volta il cervello? Certo che no! Ma dovrai abbandonarla al suo destino. Desidero vederti tornare domani sera entro il tramonto, solo.

 

Il guardiacaccia obbedì. La mattina seguente, lo vide partire a cavallo seguita dalla principessa, che si voltava a salutarla con la mano. Appena furono fuor di vista, Grimilde tornò nei suoi appartamenti e approfittando degli insegnamenti ricevuti da bambina da una anziana donna che abitava poco lontano dalla sua casa, preparò un filtro d’amore. Un filtro potentissimo. Un filtro che avrebbe compiuto il destino di Biancaneve, eliminando definitivamente la bambina che albergava ancora in lei e togliendole definitivamente dai piedi – così sperava Grimilde – la donna che Biananeve stava diventando velocemente.

 

Come tutti sanno, di questo filtro fu imbevuta una mela e alcuni giorni dopo, Grimilde travestita si recò nel bosco, alla ricerca della figliastra.

 

La trovò in una piccola e graziosa casetta, abitata da una famiglia di contadini che avevano 7 figli.

Biancaneve era stata accolta con affetto e si prodigava aiutando la madre di tutta quella figliolanza nelle faccende domestiche (poiché nonostante fosse una principessa, aveva ricevuto l’istruzione che si conviene a una ragazza per bene).


Grimilde bussò alla porta. Sotto le mentite spoglie di una anziana signora stanca ed assetata, entrò in casa non riconosciuta, e offrì alla giovane la mela incantata, in cambio di un bicchiere d’acqua.


Biancaneve la mangiò. Non morì, non svenne, non le capitò nulla che si potesse percepire a prima vista.


Ma il filtro era veramente potente: si sarebbe rafforzato fino al sorgere della prossima luna, e avrebbe agito facendo innamorare Biancaneve del primo essere umano che avesse incontrato dopo quel momento.

 

Grimilde era soddisfatta e se ne andò: era probabile che si sarebbe trattato di uno scialbo contadino, o di un vagabondo. Qualcuno che avrebbe comunque condotto Biancaneve diventata adulta su strade ben diverse e ben lontane da quelle di Grimilde.

 

Ed è qui che il Destino rimescolò le carte e fece il suo capolavoro.

 

Bisogna sapere che alcuni anni prima, Clotilde era improvvisamente morta a causa di una caduta da cavallo. La notizia era stata portata a Grimilde dal padre stesso, ma lei non aveva provato dolore per la morte della madre ne piacere nel rivedere Artemisio. Così lui se n’era andato, tristemente, e lei non l’aveva mai più rivisto. L’inverno successivo Artemisio si era risposato, scegliendo come moglie una donna straniera, vedova e di modi gentili che aveva un figlio ormai quasi ventenne, Rupert. Avendo perso la sua unica figlia, Artemisio aveva accolto questo giovane con gioia, e ne aveva fatto il suo erede, insegnandogli il mestiere di mercante.

 

E la sorte - meravigliosamente ironica e beffarda -  volle che nella prima sera di luna piena, fosse proprio il giovane Rupert a bussare alla porta della piccola casa nel bosco, di ritorno da uno dei suoi lunghi viaggi d’affari, in cerca di ristoro e riparo per la notte.

 

Il resto, come si dice, è storia.

Il filtro agì prontamente, e Biancaneve cadde innamorata di quel giovane mercante a prima vista. Egli, pur non sapendo minimamente chi lei fosse, non credette alla propria fortuna, che l’aveva portato nella vita di una giovane donna tanto bella e gentile; il giorno successivo la condusse con se nella casa del mercante di stoffe annunciando che si sarebbe sposato presto.

 

Quando Artemisio vide chi era la promessa sposa del suo figliastro, ne fu talmente sorpreso che a momenti svenne. Gli parve dunque conveniente raccontare la storia della sua fredda moglie e della sua piccola sforgunata Grimilde. La famiglia del mercante parlò e confabulò tutta la notte insieme alla giovane principessa, ed infine albeggiava quando tutti capirono che dietro a questa ingarbugliata situazione non poteva esserci che la mano della regina, la quale credendo di fare il male aveva invece aperto le porte ad un incommensurabile bene.

 

Tutto andò per il meglio. Il matrimonio tra Biancaneve e Rupert  fu celebrato in pompa magna di li a una settimana,  e perfino al palazzo reale si ebbe notizia di una festa tanto gioiosa. In capo ad un anno la vita degli sposi fu allietata dalla nascita di una bimba, manco a dirlo bellissima lei pure, cui venne dato il nome di Alba.

 

Fu il giorno del primo compleanno di Alba che Biancaneve partì alla volta del palazzo di suo padre.

Il Re, naturalmente, era all’estero per alcuni importantissimi incontri diplomatici, ma lei era li per Grimilde.

Fu fatta accomodare nel salotto della Regina, e quando le due donne furono l’una di fronte all’altra, nessuna delle due seppe cosa dire. 


Grimilde era sconcertata da tanta impudenza, che quella piccola intrigante avesse osato arrivare fin li, dentro i suoi appartamenti privati, bella più che mai e radiosa come solo una madre può essere.

Biancaneve dal canto suo era andata con l' intenzione di gettarle in faccia tutta la sua felicità, per vendetta, ma quando la vide, così triste e sola, le parole le morirono in gola.

 

- Vi riverisco, Signora Madre e mia regina – disse invece, con un esitante sorriso. – Sono venuta a presentarvi vostra nipote, nata un anno fa grazie ai vostri buoni auspici.

 

Grimilde non capì, in principio. Poi vide il fagottino che si agitava impaziente accanto a Biancaneve, e notò che aveva gambe paffute e manine rotonde, una chioma nera e occhi attenti e vivaci.

 

La regina non era avvezza al perdono, e quindi non si rese conto subito di essere stata, in un attimo, perdonata. Solo dopo qualche minuto, con la piccola Alba che le sgambettava attorno curiosa accarezzando la sua lucida veste di seta, realizzò quello che stava accadendo.



E finalmente, dopo i lunghi anni passati con sua madre e quelli ancor più lunghi nella solitudine del Castello, Grimilde provò un po’ di calore nell’animo, e sorrise, forse per la prima volta nella sua vita.


E tre generazioni di Donne furono riunite.

martedì 23 maggio 2006

QUANDO LE DONNE HANNO LA LUNA

Di Gianfranca Ravasi, edizioni Baldini Castaldi Dalai.


Libro interessante. Non tanto per quello che dice, ma per la girandola di ricordi che mi ha scatenato.

Il primo flusso femminile è sempre stato molto importante in tutte le culture umane.
Una volta – in parte anche ora – molti tabù e molte leggende erano collegate al sangue mestruale, particolarmente al primo, riconoscendo che quello era il momento in cui una bambina “moriva” all’infanzia e rinasceva come donna. Le popolazioni cosiddette primitive avevano tutte un sistema di segregazione femminile, una sorta di “capanna delle donne” dove le ragazze passavano il loro periodo della luna interagendo unicamente tra loro, dedicandosi ad attività e rituali a loro riservati.

Rituali che onoravano generalmente una divinità femminile e che celebravano il ciclo vita-morte-rinascita.

Oggi storciamo il naso davanti a questa tradizione considerandola antiquata come minimo, se non completamente offensiva della dignità femminile.

Ma queste donne avevano la possibilità di stare tra di loro, di tramandare una loro cultura, un loro sapere privato e intimo, per via femminile, di celebrare la loro unicità

Oggi, beh, oggi… oggi dobbiamo essere produttive…..
Oggi il ciclo non può compromettere il nostro lavoro, dobbiamo essere sempre pronte, efficienti, possibilmente belle e sorridenti, ed assolvere a tutti i nostri compiti come se nulla fosse. Un cedimento? Un momento di stanchezza? Donnicciola!

Quando è stato il mio turno, oh, ormai una ventina d’anni fa, ero perfettamente preparata a quello che sarebbe accaduto, sapevo di cosa si trattasse e come comportarmi. Mia madre mi aveva istruito da un punto di vista “operativo” con estrema precisione. Ciò nonostante, per qualche misterioso motivo, non riconobbi il momento quando arrivò. Mi nascosi, non dissi nulla per un buon numero di ore. Non ero imbarazzata, non ero preoccupata. Semplicemente l’evento passò completamente inosservato al mio cervello, me ne dimenticai per un pomeriggio intero. La sera, quando finalmente mi decisi a chiamare mia mamma, ancora non mi ero resa conto di quello che stava accadendo. Lo lessi sul suo sorriso. Lei mi disse poi che aveva percepito nella mia voce quello che stavo per dirle, ancor prima di vedermi o parlarmi.

Ciò nonostante l’unico che cominciò a trattarmi in modo leggermente diverso fu mio padre. E questo mi faceva infuriare. Mia madre continuava a ripetere che il ciclo non era una malattia e che non dovevo comportarmi in modo diverso da qualunque altro giorno, e io mi sentivo fiera e forte. Mio padre invece cercava di mantenermi più calma, mi consigliava di rinunciare agli allenamenti sportivi, di concedermi un po’ più di riposo, di “stare tranquilla”.

Come mi faceva arrabbiare!!!!!
E invece, aveva ragione lui.


Aveva ragione non tanto perché dovessi effettivamente rintanarmi in casa fino alla fine della settimana, ma perché fu l’unico farmi capire che mi percepiva in modo diverso. Che io ero diversa, dopotutto.

Oggi le donne sono troppo assorbite dal loro ruolo di nuovi-maschi per sprecare tempo con le ragazze che si affacciano alla vita adulta e farle sentire parte di qualcosa che dura da migliaia di anni… e che accomuna tutti gli esseri di sesso femminile che abbiano mai calpestato questa Terra. Oggi questa particolarità femminile è vissuta come un disturbo anche dalle donne stesse (gli uomini ne hanno in fondo sempre avuto un po’ timore), al punto che chi si ritaglia un po’ di tempo per se durante questo periodo – magari per gestire il dolore che spesso provoca – viene stigmatizzata, derisa, criticata.

Piuttosto che questo piattume lineare e maschile, piuttosto che questo silenzio, piuttosto che questa completa mancanza di considerazione su una tappa tanto importante della vita di una donna, allora preferisco ancora la superstizione delle nostre anziane… come mia nonna, che mi esortava a non toccare le piante quando avevo “le mie faccende” per evitare il pericolo che si seccassero… per lo meno, lei non mi trattava più come la bambina che ero prima.

lunedì 22 maggio 2006

BENTORNATE

L'ambiente non è ideale, ma l'incontro è stato splendido.
Dopo molti mesi, come un incontro atteso da tempo.
Una amica aveva bisogno di un piccolo aiuto, loro hanno risposto alle mie domande come se non avessimo mai smesso di parlare. Lisce, docili nelle mie mani, meravigliose, splendide come stelle lucenti.
Hanno parlato attraverso la mia bocca direttamente al mio (e al suo) centro.
Al nucleo profondo che attendeva acqua come un assetato nel deserto.
Hanno aiutato me tanto quanto lei, a ritrovare una parte di me stessa.
A essere nuovamente "li".
Li davanti allo specchio, li di fronte alla parola-che-non-ha-voce.

Bentornate Sorelle mie, bentornate.

A.

mercoledì 17 maggio 2006

QUANDO IL VIAGGIO TERMINA

Quando un cuore novantenne rallenta al punto che sembra quasi smettere di battere, quando il respiro si fa faticoso e il corpo non risponde più alla volontà... perchè la volontà stessa è tutta e solo concentrata nell'atto primordiale di respirare, cosa vedi davanti a te? cosa provi?

La fine del viaggio si avvicina, non occorre una veggente per dirlo. E nemmeno un medico.

Oggi i rimedi sono sofisticati, possiamo dare a questo cuore stanco la chance di continuare a battere ancora per un po'. Ma quanto? Per quanto tempo?

Quanto tempo posso augurare a una donna che ha vissuto tutta una vita e che si sta spegnendo non per malattia, ma per semplice vecchiezza, per il solo logorio dei molti anni?

Quanto tempo posso dare a me stessa per abituarmi all'idea che lei non è eterna, e che ogni viaggio ha la sua fine?

Il viaggio più lungo è ora davanti a lei, e per quanto possiamo ingannare la natura e la morte, prima o poi quel sentiero dovrà essere imboccato. Attende tutti noi.

La filosofia muore sulle labbra e nel cuore davanti a questa evenienza. Non mi importa che sia naturale, non mi importa che abbia vissuto a lungo. Lei è mia, e io ho bisogno di lei qui. Ora. Ancora per molto tempo.

Che egoista. Penso solo a me stessa.

Resisti, resisti. Il tempo che io possa dirti quanto ti voglio bene e quanto hai contato e conti per me. Il tempo che tu possa capire che sono tua figlia più che tua nipote, e che i tuoi insegnamenti (burberi, alle volte) sono tutti dentro di me. Il tempo che io possa accompagnarti, come tu hai accompagnato me per tanti anni e tante strade.

Il viaggio è lungo, c'è ancora tempo.

Non iniziarlo subito.

Non subito.

giovedì 11 maggio 2006

FOEMINA SAPIENS

E' un recente studio compiuto dall' Università della California circa l'evolversi sociale dei primi uomini.


Spettacolare!!


Pare che le femmine - le donne diremmo oggi - avessero già all'epoca come priorità la crescita della prole. Il passaggio di determinate conoscenze, la sopravvivenza, il procurarsi il cibo. Queste priorità hanno portato:


1. lo sviluppo del linguaggio (per trasmettere le conoscenze ai figli)


2. lo sviluppo dell'andatura eretta (per poter raccogliere cibo portando contemporaneamente i piccoli in braccio)


E fin qui niente di nuovo, si sa che le donne sono sempre state più intelligenti fin dall'alba dei tempi :-)


Ma pare altresì che i maschi invece avessero già allora come prima priorità il mantenimento del proprio patrimonio genetico tramite spargimento del proprio seme. Ossia, pensavano solo al sesso, già allora (eheheh). Ma le donne che invece avevano come priorità i figli cominciarono a concedere le proprie grazie sempre meno volentieri ai maschi violenti e poco collaborativi, preferendo vieppiù quelli invece più generosi, più altruisti, che potevano in qualche modo partecipare alla crescita dei figli.


E così i maschi iniziarono a cambiare il proprio comportamento, allo scopo di essere più graditi alle femmine e poter così continuare a fare sesso... col che, le femmine hanno capito che potevano ottenrere dai maschi quello che volevano soltanto promettendo in cambio favori sessuali, modificando così ulteriormente il comportamento maschile.


Evinciamo dunque che:


1. le femmine non solo sono più intelligenti ma anche più furbe (infatti esse fanno sesso e vengono anche ricompensate per quello che avrebbero comunque fatto anche gratis, essendo attività piacevole)


2. la struttura cerebrale ed emotiva dei futuri uomini si è sviluppata con il principale se non unico intento di avere la possibilità di accoppiarsi (dimostrando che in 4 milioni di anni è cambiato ben poco).


E poi il sesso debole saremmo noi!!!!


AHAHAHAHAH!!!

venerdì 5 maggio 2006

DELLE VOLTE...

... io mi domando e dico.....


ieri sera al TG ho assistito (con un certo qual sgomento) ad una intervista a Stefania Nobile, la figlia di Wanna Marchi che è come tutti praticamente ormai siamo costretti a sapere in attesa della sentenza nel processo che vede le due splendide signore (signore??) imputate per truffa e non so cos'altro.


Fine come una scarpata nei denti, capelli rosso fuoco, labbra rosa (tipo: sono una paninara di fine anni '80 che ha perso la carta di identità), abbronzatura esagerata, spavalda, arrogante, insomma, un vero fiore all'occhiello di femminilità e decoro, ha raccontato ai giornalisti che ha prodotto (e la sua degna madre con lei) un dvd con la storia della sua vita che andrà in vendita a breve al contenutissimo costo di 12 euro.


Ora, questa qui è sotto processo per reati di una certa gravità e - anche se non è stata condannata (non ancora, spererei), ci sono fior di prove e di registrazioni che la immortalano nell'atto di minacciare, raggirare, spaventare, derubare, truffare e approfittare di persone "più deboli" senza alcuno scrupolo, senza coscienza, senza timore o ripensamenti.


Qualcuno dirà: va bene, ma se ci sono in giro tanti gonzi, mica è colpa della Wanna MArchi e di sua figlia. Vero. Ma se io metto acqua e zucchero in bottiglia, faccio un piccolo rito, e vado raccontando che è un filtro d'amore vendendo il mio prodotto a 5 euro su una bancarella, magari non sono proprio lo specchio dell'onestà, ma tutto sommato se qualcuno compra le mie bottigliette faccio poco danno. Altra cosa è ventilare con chi può cedere a questo tipo di ricatto la possibile grave malattia, morte, incidente di un famigliare, un marito o un figlio, pretendendo fior di milioni per allontanare queste paventate catastrofi.


Siamo davvero una società che prospera sulle altrui disgrazie, se un elemento di tal fatta è inseguito da frotte di giornalisti che penzolano letteralmente dalle sue labbra per un commento, una previsione sull'esito del processo (ma che ti diano l'ergastolo!), dandole e continuando a darle quella notorietà, quel palcoscenico, quelle luci di riflettori che evidentemente brama a qualunque costo.


Questa gente dovrebbe essere dimenticata, obliata, cancellata, completamente disprezzata, dovrebbe essere allontanata da qualunque tipo di comune interesse, mantenute nell'ombra e eliminata... non intervistate in prima serata su tutti i canali!


Invece viene ricercata, venerata come guru mediatico (del resto, fa notizia, e quel che fa notizia vende)... niente niente tra poco condurrà un talk show e parteciperà ad un reality........


Che porcheria. Che gran porcheria.


 

mercoledì 3 maggio 2006

PURA POESIA

Reduce da un banale corso di primo soccorso, di quelli che le aziende sono obbligate a far fare a un certo numero di dipendenti. Impara l'arte e mettila da parte, quando una fetta della tua famiglia è ancora in età prescolare non si sa mai di cosa si può aver bisogno.


Ma al di la di questo...... affascinante. La parte di pura anatomia è stata una rivelazione. Complice la passione evidente che il medico metteva nello spiegre a noi poveri profani il funzionamento della "macchina meravigliosa", quello che poteva essere un noioso adempimento burocratico si è trasformato in un viaggio affascinante, splendido.


Sangue che pulsa, ossigeno che nutre e rigenera, muscoli che si contraggono, funzioni che si intersecano leggere, silenti, millimetriche... il cuore incessante, instancabile, preciso, l'infinita rete di canali che trasportano il liquido della vita... tutto è fatto di piccolissime parti che si uniscono, che lavorano una accanto all'altra senza sfiorarsi ma con una sincronia che sfiora la consapevolezza.


Questa è poesia. Pura poesia del movimento.


Poesia dell'esistenza.


Alle volte penso che dovremmo semplicemente chinare il capo davanti alla perfezione di cui ci è stato fatto dono, ed esserne grati.


martedì 2 maggio 2006

MAGGIO

E arriva Maggio


coi suoi fiori


colori


profumi


segnali di abbondanti messi nei campi


il colore giallo delle spighe che cominciamo a presagire, fino al prossimo taglio


fino al prossimo giro di ruota.


Il mio campo è arato e pronto, i semi hanno cominciato a germogliare, la terra è smossa e nera, calda, odorosa.


Ma sbaglierei a star soltanto a sedere ed aspettare.


La vita non si perpetua senza lavoro.